Una storia adulta.

Da una settimana viene in classe con noi Blerim, un ragazzo albanese finito ai domiciliari dopo una rissa.
La sua assistente sociale parla di lui come di una perla rara nel triste scenario del reinserimento. E, in effetti, Blerim, è un ragazzone d’oro, che non vedeva l’ora di avere uno spazio di relazione, di cura e di affetto, come la nostra classe colorata sa essere.

Ieri era il suo primo giorno.
Dopo tre ore in classe con Valentina, l’altra educatrice, ha accettato di farsi offrire un caffè.

E allora, Blerim – gli ha chiesto Valentina – come ti sei trovato?

Bene, bene – ha risposto timidamente lui – ma, sai, non penso che quando avrò finito i domiciliari resterò in Italia.

Perché? – ha chiesto Valentina- c’è una ragione precisa?

No, non c’è. Peró, a me, l’Italia… scusa se te lo dico, eh… a me l’Italia…ecco… a me,
l’Italia, non è che mi sembri un paese molto democratico.

Reperti autografi

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Giovedì ho portato in classe un libro di Betta, la nostra laboratorista: una figura mitologica, per i bambini, perchè ci prepara tutti i materiali, ma in classe non viene ( quasi ) mai.
Giovedì, l’attività era bellissima: ispirati dallo strepitoso libro di Miles Von Hout, i bambini hanno lavorato con gessetti e Bristol nero.
Dillo a Betta che quest’attività era bellissima – mi hanno sussurrato, concentratissimi.

Alla fine dell’attività erano coperti di gesso come minatori delle cave di Carrara, così li ho mandati a lavarsi in bagno.
I due incontenibili bambini di quarta – Andrea e Dylan – lavate superficialmente le mani, sono tornati immediatamente in classe e si sono messi a sfogliare il libro per terra.
Io, vedendoli tranquilli, sono andata ad aiutare le Piccole Nane di Prima, che non arrivano al rubinetto.
Errore.
Macroscopico errore.
Perché, appena tornata dal bagno, meno di un minuto dopo, ho visto Andrea e Dylan venirmi incontro disperati urlando Maestra, Maestra, è stato lui, non è colpa mia.
E ognuno indicava l’altro.

Avevano rotto il libro di Betta.
Tirandolo ognuno dalla propria parte per vedere meglio, avevano staccato una coppia di pagine dalla sua graffetta.

Il danno non era grave, ma il gesto si.
E così, sfruttando l’Aura mitologica che circonda Betta, ho proposto ad Andrea e Dylan di scriverle, aspettando una settimana la sua risposta.

Maestra – mi ha chiesto prontamente Dylan dopo aver scritto la lettera insieme ad Andrea, come due piccoli Totò e Peppino – ma se Betta dice che dobbiamo ricomprarglielo, quanto costerebbe il libro?

Sedici euro – ho risposto

Va beh – ha detto Dylan, facendo spallucce – sedici euro non sono tanti.

Però se Betta il libro l’ha già comprato, e adesso deve ricomprarlo per colpa vostra, sedici euro più sedici euro, per lei diventano trentadue euro – ho risposto io

Trentadue euro??  – Dylan ha sgranato gli occhi, cercando disperato lo sguardo di Andrea – ma trentadue euro sono TANTISSIMI!

Letture ad alta voce

Oggi abbiamo letto un libro che lascia sempre tutti un po’ spiazzati.
Si chiama L’amore di Bernardo e parla di Aurelia che ama Bernardo, che però ama Berta, che a sua volta ama Roberto, e così via fino al Presidente della Repubblica, che ama solo andare in bicicletta.

E’ una storia che non è una storia perché non succede nulla, e tutto si muove in un contesto surreale.

Quando oggi ho finito la lettura, i miei 14 bimbi sono rimasti interdetti.
E quindi? Hanno detto
Che storia é, che tutti amano qualcun altro?
E chi è Bernardo?
E chi è Berta?
Ma perché non amano mai quello che li ama?

All’improvviso, in mezzo allo sconcerto, è intervenuta Amina, una marcia in più nella comprensione del mondo
” Ma dai – ha proclamato a voce altissima per farsi sentire in mezzo al brusio interdetto – non è mica una storia da capire! È una storia da ridicoli!”.

Giocare sul serio

Il cane mangia le nocciole
Il cane mangia le nocciole
Il cane ama le nocciole
Il cane ama le noccole
Il cane ama le noccole
Cane e noccole
Cante e noccole
Tante coccole
Tante coccole
Ante occole
Antoccole
Pantofole
Pantole
Pentole
Pentole
Pentole
Pelle
ELLE!

( oggi, dopo i compiti, abbiamo giocato a telefono senza fili )

Una storia dell’anno scorso

Amina è una bambina solare e precisa, coinvolgente ma autonoma, affettiva e buffa.
I suoi genitori sono tra quelli che ce l’hanno fatta: scappati dal Kossovo, sono arrivati in Italia e si sono costruiti una vita, bella e solare come i loro due figli.
Amina è ben conscia, a sette anni, delle fatiche dell’integrazione, quindi ha i quaderni perfetti, finisce sempre i compiti e aiuta i compagni più lenti, con impegno e riconoscenza.

L’anno scorso però, più o meno in questo periodo, si è distratta un po’ troppo con le sue trecento forcine, orecchini, fiorellini, cagnolini, matitine, pennine colorate e, al momento dell’attività di gruppo, non aveva ancora finito i compiti.

– Maestra, posso finire i compiti mentre voi fate l’attività?
– No, Amina, lo sai che quando inizia l’attività, chi non ha finito i compiti, li completa a casa.
– Dai, dai, dai, ti prego, ho ancora cinque operazioni col più.
– No, Amina, dovevi distrarti di meno. Adesso vieni qui con gli altri.
– Cinque minuti.
– No.
– Ancora almeno due operazioni.
– No, Amina. Metti via i quaderni e vieni qui.

Allora Amina sbuffa, infila quaderno, astuccio e diario nello zaino e, con la lentezza tipica dell’offesa, si avvicina al gruppo dei compagni e si siede nel cerchio con loro.

– Dai Amina, fai un sorriso, che adesso leggiamo.
– Maestra – dice lei, piccata – tu mi hai detto di mettere via i quaderni, e io li ho messi via. Mi hai detto di venire in cerchio, e io sono venuta. Sono seduta qui con voi. Però, ci metto la noia.

Gli alberi

Primo giorno di doposcuola, tredici bambini che diventeranno presto quindici, sedici, diciotto, dipende dalle iscrizioni.

Ci sono graditi ritorni, come Stefano, che l’anno scorso non c’era, ma l’anno prima si, e che chiede ogni dieci minuti Adesso è quando facciamo lo zaino e andiamo dalle mamme?
Poi c’è Amina, la bambina kossovara con gli abiti da principessa e le fessure tra i denti che non si riempiono mai. Quest’anno è accompagnata da suo fratello, e per presentarmelo mi dice Lo sai che lui sa trattenere il fiato e diventare tutto rosso ? E, in effetti, è proprio vero, e io non posso che complimentarmi per questa sua abilità.
C’è la bambina che non parla e nessuno si ricorda mai di lei, povera silenziosa Kathy, ci sono i due maschi di quarta che si comportano come rapper della tv ma poi ti chiedono se possono andare in bagno a fare la cacca, e le tre bimbe di prima con i codini e l’astuccio nuovo. C’è Roger che è sicuro che non possa esistere la boxe femminile, Carlo con gli occhiali correttivi, Antony con i suoi compiti perfetti.
E poi c’è Maria, arrivata due anni fa magra e trasparente, e cresciuta piano piano tra mille insicurezze.

Proprio lei, oggi, è stata rimproverata dalla segretaria che l’ha vista arrampicarsi su un albero basso, a ricreazione, mentre io guardavo da un’altra parte.
Signorina, non li faccia salire – mi ha urlato la segretaria dalla finestra – che gli oleandri sono pure velenosi.
Io ho fatto scendere la bambina, e le ho ricordato a malincuore che non ci si arrampica sugli alberi del cortile.
Maria ha fatto spallucce e mi ha detto Bah, lo sanno tutti che sono le foglie, degli oleandri, ad essere velenose. Io ero sul ramo: toccavo solo la corteccia.

Introduzione

Una volta a settimana, io prendo l’autobus numero 1 e attraverso la città.

Insieme ad altri cinquanta, sessanta passeggeri dell’autobus numero 1, evito di investire i turisti che vanno all’acquario, passo sotto gli uffici comunali, costeggio la terra di nessuno sotto la sopraelevata, mi intaso nel traffico di sampierdarena, driblo le masse di adolescenti che si tuffano nel centro commerciale, sobbalzo lungo il ponte di Cornigliano, sorrido, cerco un posto, lascio passare, Scusi scende?, evito i righelli assassini negli zaini degli adolescenti, ascolto la musica dai telefonini altrui, sorrido ai bambini in braccio, distolgo lo sguardo dalle vecchiette inferocite, e, dopo 45 minuti, scendo alla prima fermata della periferia di Genova.

A quel punto, passo davanti alla cartoleria, al pescivendolo, alla sede dell’Anpi, alle panchine con i vecchietti, agli adolescenti con gli smartphone.
Scendo tre gradini, attraverso un cortile, e suono alla porta.
Mi apre una bidella gentile che mi chiede Come stai?
Io rispondo Bene, grazie.
Tolgo la suoneria del telefono, mi lavo le mani ed entro in mensa.

Non faccio neanche tempo ad entrare che sedici teste si girano all’unisono, sedici molteplici fessure tra i denti, sedici modi di parlare l’italiano, sedici bocche sporche di sugo, di pesto, di pizza, di banana, si girano verso di me e gridano E’ arrivata la maestra!

Strega comanda colori.
Non importa cosa io faccia il resto della settimana, chi io sia fuori di lì.
Nel realismo magico della mensa, loro dicono Maestra, e se io voglio stare al gioco, mi devo trasformare.
Così mi trasformo.

Li guardo, li osservo, li coccolo e li sgrido.
Facciamo i compiti, costruiamo le regole, leggiamo i libri, facciamo le uscite.
Giochiamo a ricreazione, ci asciughiamo le lacrime, ci sporchiamo con le tempere, ci incolliamo le dita con la colla.
Inventiamo l’italiano, ci dimentichiamo le differenze, ci scherziamo su.
A volte, in classe, sono tutti amici, a volte non lo sono più, a volte sbocciano amori acerbi, altre volte rivalità faticose.

Una volta a settimana, siamo diciassette persone  alle prese con il nostro campionario di umanità periferica.

Questa è la nostra storia.
Una volta a settimana.
Strega comanda colori.